Marina Abramović: la regina della “Performance Art” in mostra a Palazzo Strozzi Inaugurata a Palazzo Strozzi “Marina Abramović: The Cleaner”, la prima retrospettiva con più di 100 opere e re-perfomance dedicate a Marina Abramović

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Marina Abramović, The Cleaner - Palazzo Strozzi, Firenze, 21 settembre 2018 / 20 gennaio 2019

FIRENZE – Inaugurata il 21 settembre, rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio 2019 a Palazzo Strozzi “Marina Abramović: The Cleaner”, la prima grande rassegna italiana di Marina Abramović, una delle personalità più celebri e discusse dell’arte contemporanea, che con le sue opere ha rivoluzionato l’idea di performance mettendo costantemente alla prova il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità espressive.

La mostra, curata di Arturo Galansino della Fondazione Palazzo Strozzi e Lena Essling del Moderna Museet di Stoccolma, nasce dalla collaborazione diretta dell’artista con Palazzo Strozzi, che prosegue così la serie di mostre che stanno portando a Firenze i maggiori rappresentanti dell’arte contemporanea a livello globale, come Ai Weiwei (2016), Bill Viola (2017) e Carsten Höller (2018).

Il titolo della mostra, The Cleaner, si riferisce a una riflessione di Marina sulla propria vita, secondo cui – come in una casa – si tiene solo quello che serve e si fa pulizia del passato, della memoria, del destino” – Arturo Galasino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra.

Marina Abramović, Freeing the Voice, 1975, Courtesy of Marina Abramović Archives e Lisson Gallery, London

Per la prima volta in assoluto un’artista donna è la protagonista di una mostra a Palazzo Strozzi, con la presenza di oltre 100 opere che regalano ai visitatori una panoramica completa sui suoi lavori più famosi, partendo dagli esordi degli anni Sessanta fino ad arrivare agli anni Duemila.

Video, fotografie, dipinti, oggetti, installazioni e numerose re-performance raccontano i 50 anni di carriera di una delle più controverse artiste dell’arte contemporanea, portando alla luce, come tipico dell’Abramović, temi cruciali della contemporaneità, interpretandone le contraddizioni e le urgenze.

Palazzo Strozzi, in questo modo, si trasforma in uno spazio mutevole e in costante cambiamento, che muta volto ogni giorno a ogni ora, grazie ai lavori interattivi e alle re-performance, interpretate da oltre trenta perfomer specificamente selezionati e formati in occasione della mostra.

Proprio la re-perfomance è lo strumento utilizzato dalla stessa Abramović a partire dagli anni Duemila come metodo di lavoro: la Performance Art è effimera per eccellenza e, per mantenere vive le sue opere che altrimenti esisterebbero solo come documentazione d’archivio, con il cosiddetto “Abramović Method” Marina reinventa il concetto di performance che viene rinnovata dai differenti contesti, coinvolgendo di volta in volta spettatori e performer diversi.

LA MOSTRA

Marina Abramović, The Cleaner - Firenze, 21 settembre 2018 / 20 gennaio 2019

Il percorso espositivo inizia nella Strozzina di Palazzo Strozzi – per la prima volta è la stessa voce dell’artista ad accompagnare i visitatori nell’audioguida – con le prime tappe della carriera dell’artista che esordisce giovanissima a Belgrado come pittrice figurativa e astratta. In questa sezione si trovano opere inedite come Self-Portait del 1965 e i dipinti delle serie Truck Accident (1963) e Clouds (1965/1970) in cui si ripetono ossessivamente violenti incidenti di camion e nuvole quasi astratte, lasciando già intravedere la tensione di un’arte che va verso l’immaterialità.

Proseguendo si arriva ai lavori degli anni Settanta: le prime perfomance di Marina, quelle più estreme, nelle quali l’utilizzo quasi violento del corpo come strumento di ricerca artistica la fa da protagonista. Di questo periodo sono Rhytm 10 (1973/2017), Rhytm 0 (1974), Rhytm 5 (1974/2011), Freeing The Voice (1975), Lips of Thomas (1975/2017), Art Must Be Beautiful/Artist Must Be Beautiful (1975), una serie di successi che presero il via da Roma, quando nel 1973 è invitata alla mostra Contemporanea, una delle prime a includere al suo interno l’arte performativa. Per l’occasione Marina aveva realizzato Rythm 10: “Una totale follia che si basava su un gioco da osteria dei contadini russi e jugoslavi. Si mette la mano con le dita allargate sul tavolo e con l’altra mano si colpiscono velocemente gli spazi tra le dita con un coltello affilato. Ogni volta che si manca il bersaglio e ci si taglia si deve bere. E più si beve e più è probabile che ci si ferisca. Come nella roulette russa sono in gioco il coraggio, l’idiozia, la disperazione e le tenebre: un perfetto gioco slavo” – Marina Abramović, Attraversare i muri, un’autobiografia con James Kaplan, Milano, Bompiani (2016).

Marina Abramović, Rhythm 10, 1973/2017, Courtesy of Marina Abramović Archives

Una delle performance più scioccanti ed estreme di questi anni è Rhytm 0, presentata nel 1974 allo Studio Morra di Napoli, in cui l’Abramović si fa oggetto abbandonandosi in balia del pubblico, che ha a disposizione settantadue oggetti (tra cui un martello, una piuma, una pistola, un coltellino, degli spilli, delle forbici) da usare a piacimento sul corpo dell’artista per sei ore. In quell’occasione le strappano i vestiti, la feriscono, le puntano alla gola la pistola carica, finché non viene salvata dallo stesso pubblico che la stava letteralmente per uccidere.

Qualcuno mi fece un taglio sul collo con il coltello e succhiò il sangue. Ho ancora la cicatrice. E poi c’era un uomo di statura molto bassa che mi stava appiccicato, ansimando. Mi faceva paura. Nessun altro e nessun’altra cosa me ne aveva fatta, ma lui sì. Dopo un po’ mise il proiettile nella pistola e me la mise nella mano destra. La puntò verso il mio collo e toccò il grilletto. Dal pubblico si levò un mormorio; qualcuno fermò il tizio e ci fu una baruffa. Alcuni visitatori volevano evidentemente proteggermi; altri volevano che la performance continuasse. Dato che eravamo nel Sud, la gente alzò la voce e gli animi si infiammarono. Il piccoletto venne cacciato fuori dalla galleria e la performance continuò. Di fatto, il pubblico divenne sempre più attivo, come in trance […] Il giorno dopo, decine di persone che avevano partecipato all’evento telefonarono in galleria. Dicevano di essere terribilmente dispiaciute; non si erano rese conto di ciò che era successo mentre erano lì, non sapevano che cosa fosse successo a loro” – Marina Abramović, Attraversare i muri, un’autobiografia con James Kaplan, Milano, Bompiani (2016)

In questa sezione vengono presentate ogni settimana le tre re-perfomance che rievocano la famosa serie dei Freeing che per Marina rappresentò un rito di passaggio per “esorcizzare” il proprio contesto di origine prima di lasciare Belgrado nel 1975.

Freeing the Voice prevede che il performer, sdraiato a terra su un materasso con la testa rovesciata all’indietro, urli fino a perdere la voce. In Freeing the Memory il performer è seduto su una sedia e ripete ininterrottamente parole e frasi nella propria lingua. La performance termina quando non vengono più in mente parole. Freeing the Body è eseguita accompagnata da un percussionista dal vivo. La musica e il ritmo di un tamburo africano muovono il corpo del performer che con la testa fasciata da una benda nera danza e si muove fino a quando cade a terra esausto (le re-perfomance avranno luogo giovedì e sabato dalle ore 16.00).

Nel 1975 Marina Abramović conosce Ulay con il quale instaura un profondo e intenso rapporto professionale e sentimentale, il cui simbolo è il furgone Citroen nel quale i due hanno vissuto per tre anni viaggiando per l’Europa, esposto in occasione della mostra nel cortile di Palazzo Strozzi. Di questo periodo fanno parte le perfomance di coppia, presentate al Piano Nobile del Palazzo; il pubblico, infatti, viene subito accolto dalla re-perfomance di Imponderabilia (1977/2017): i due performer sono nudi in uno stretto passaggio all’ingresso di una sala e i visitatori possono scegliere se passare in mezzo ai due corpi nudi o lateralmente (la re-performance avrà luogo tutti i giorni dalle 11.30 alle 19.30 e giovedì fino alle 21.30).

Ulay/Marina Abramović, Imponderabilia, 1977, Courtesy of Marina Abramović Archives and LIMA
Ulay/Marina Abramović, Imponderabilia, 1977, Courtesy of Marina Abramović Archives and LIMA

Marina e Ulay presentarono questa perfomance nel 1977 alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna dove all’ingresso, nudi e in piedi uno di fronte all’altro, costringevano i visitatori a passare in mezzo a loro. La performance doveva durare sei ore ma furono interrotti dalla polizia.

Per sviluppare il lavoro, partimmo da un’idea molto semplice: se non ci fossero artisti, non ci sarebbero musei. Da qui decidemmo di fare un gesto poetico: gli artisti sarebbero diventati letteralmente la porta del museo […] come stipiti o cariatidi classiche” – Marina Abramović, Attraversare i muri, un’autobiografia con James Kaplan, Milano, Bompiani (2016).

Sempre al Piano Nobile si trovano le altre celebri perfomance con Ulay quali Relation in space (1976), AAA-AAA (1978), Rest Energy (1980) e Nightsea Crossing (1981/1988).

La fine della loro storia d’amore e unione professionale si celebra nel 1988 con la performance The Lovers (1988) dove i due artisti si incontrano per dirsi addio a metà della Grande Muraglia Cinese, dopo aver percorso a piedi 2500 chilometri ciascuno, partendo lei dell’estremità orientale e lui da quella occidentale.

Camminare una verso l’altro aveva un certo impatto… era quasi la storia epica di due amanti che si incontravano dopo tante sofferenze. Poi questo aspetto è scomparso. Mi sono confrontata solo con me e la nuda Muraglia. [..] Sono molto contenta che abbiamo comunque deciso di realizzare questo lavoro, perché avevamo bisogno di una qualche conclusione. E questa è rappresentata da tutta la strada che facciamo camminando l’una verso l’altro, e non per incontrarci gioiosamente, ma solo per pronunciare la parola fine” – Marina Abramović, Attraversare i muri, un’autobiografia con James Kaplan, Milano, Bompiani (2016).

La mostra prosegue con i solo works degli anni Novanta dove il dramma della guerra in Bosnia ispira l’opera Balkan Baroque (1997), con cui l’Abramović vince il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 1997, scioccando pubblico e critica: all’interno di un buio scantinato l’artista pulisce una ad una mille ossa di bovino raschiando pezzi di carne e cartilagine mentre intona canzoni della tradizione popolare serba.

Marina Abramović, Balkan Baroque (Bones), 1997, Courtesy of Marina Abramović Archives e LIMA

Legate al mondo balcanico e alle complesse dinamiche familiari sono inoltre presentate in mostra opere come The Hero (2001), dedicata al padre, o il controverso ciclo Balkan Erotic Epic (2005). Parallelamente l’Abramović porta avanti una ricerca sulle tematiche di meditazione e trascendenza che trovano espressione nei Transitory Objects (1995-2015): non sculture, ma strumenti per viaggi interiori, realizzati con materiali come il quarzo, l’ametista o l’ossidiana, dotati di una particolare carica energetica che permette al fruitore di transitare verso uno stato di coscienza rinnovato e meditativo. Questi “oggetti transitori” trovano il loro unico e ultimo senso solo nell’interazione con l’essere umano poiché solo così l’energia può circolare e l’oggetto può divenire davvero “transitorio”. In mostra è possibile trovare Chair for Human Use (III) (2015), Black Dragon (1990/1994), Bed for Human Use (III) (2015), Counting The Rice (2015), Private Archeology (1997/2015).

Qui si colloca la re-performance Cleaning the Mirror (1995/2018) che ripercorre esattamente quella di Marina Abramović del 1995: sedendo con uno scheletro umano in grembo, con dolcezza e attenzione cercava di pulirlo con una spazzola. Ma l’artista si sporcava sempre più, poiché sciacquava la spazzola nell’acqua mescolata ad argilla. Una performance di cinque ore che rinvia, tra l’altro, a riti di morte tibetani che preparano i discepoli a diventare tutt’uno con la propria mortalità (la re-perfomance avrà luogo martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica dalle 14.30).

In questa sezione si trova, anche, la re-perfomance Luminosity (1977/2018), che fa parte della performance Spirit House, realizzata da Marina presso la galleria Sean Kelly a New York nel 1997, che suggerisce una riflessione sull’intensità della spiritualità che riesce a imporsi sulla fisicità del corpo attraverso il controllo del movimento, del ritmo e della gestualità. In mostra la perfomer, nuda, resta in equilibrio per trenta minuti su un sellino di bicicletta, con i piedi sospesi dal suolo, muovendo lentamente le braccia e le gambe. L’intensità della luce fa accrescere lentamente il volume dello spazio (la re-performance avrà luogo lunedì, giovedì e venerdì dalle ore 15.00 e domenica dalle ore 12.00).

Col passare degli anni l’arte performativa dell’Abramović, effimera per definizione, si dilata nel tempo: dalle poche ore delle performance degli anni Settanta si arriva agli anni Duemila con il famossisimo lavoro The Artist is Present (2010), in cui al MoMA di New York Marina, muta e immobile – per più di settecento ore nell’arco di tre mesi – ha fissato milleseicentosettantacinque persone che si sono avvicendate davanti a lei, sottolineando così il valore di una comunicazione energetica e spirituale tra artista e pubblico come elemento fondamentale del suo lavoro.

Marina Abramović, The Artist is Present, 2010, Courtesy of Marina Abramović Archives and Sean Kelly, New York

Infine, grazie alla rinnovata collaborazione di Palazzo Strozzi con l’Opera di Santa Maria del Fiore, due opere sono eccezionalmente esposte al Museo dell’Opera del Duomo in dialogo con capolavori come la Pietà Bandini di Michelangelo. Si tratta di una fotografia della Pietà (Anima Mundi) (1983/2002) e del video The Kitchen V, Carrying the Milk (2009). Nella prima Marina Abramović reinterpreta l’iconografia sacra della Pietà insieme ad Ulay e nella seconda rende omaggio alla mistica santa Teresa d’Avila.

Marina Abramović/Ulay, Anima Mundi (Pietà), 1983/2002, Courtesy of Marina Abramović Archives e Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli

La mostra è organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi, prodotta da Moderna Museet, Stoccolma in collaborazione con Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk e Bundeskunsthalle, Bonn. A cura di Arturo Galansino, Fondazione Palazzo Strozzi, Lena Essling, Moderna Museet, con Tine Colstrup, Louisiana Museum of Modern Art, e Susanne Kleine, Bundeskunsthalle. Con il sostegno di Comune di Firenze, Camera di Commercio di Firenze, Regione Toscana, Associazione Partners Palazzo Strozzi. Con il contributo di Fondazione CR Firenze. Sponsor Unipol Gruppo.

INFO

Marina Abramović: The Cleaner
21 settembre 2018 / 20 gennaio 2019

www.palazzostrozzi.org

Orario: tutti i giorni 10.00-20.00, Giovedì 10.00-23.00. Dalle ore 9.00 solo su prenotazione. Accesso consentito fino a un’ora prima dell’orario di chiusura
Informazioni in mostra: T. +39 055 2645155

Biglietti intero € 12,00; ridotto € 9,50; € 4,00 Scuole

Hashtag ufficiali: #marinaflorence #abramovicitaly #marinabramovic

 

 

 

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