La musica elettronica e l’eredità del Punk (PARTE 2). Viaggio alla scoperta dei fili sottili che legano tra loro le sonorità dell’ultimo millennio Dai primi ingombranti sintetizzatori al Minimoog e ai dispositivi dei produttori asiatici. La fine dell'era pionieristica e l'alba dei sintetizzatori e dei sequencer.

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Musica Elettronica 02

Le ricerche sul suono e sugli strumenti elettronici da parte di pionieri come Theremin, John Cage, Eimert e Stockhausen sono risultate decisive per l’evoluzione del panorama musicale popolare degli anni ’60. È in questo periodo infatti che le tecnologie cominciano lentamente a divenire più affidabili e il mercato ne percepisce le potenzialità. Ciò innesca un meccanismo che renderà via via queste macchine più trasportabili e abbordabili da un punto di vista economico, al contempo conferendo loro delle possibilità considerate quasi magiche per i musicisti del tempo. Generare comodamente con un solo dispositivo il suono di qualsiasi strumento e riprodurre o modificare con facilità campioni audio analogici registrati in precedenza non erano infatti funzioni previste da alcun apparecchio esistente su ampia scala sul mercato.

La fine dell’era pionieristica: sintetizzatori e sequencer

Ciò è stato possibile grazie a due innovazioni fondamentali del XX secolo, i sintetizzatori e i sequencer. I sequencer hanno in qualche modo esaudito le visioni dei futuristi, estendendo le possibilità della composizione a territori fino a quel momento considerati utopici, in quanto le sequenze registrate potevano essere modificate e riprodotte senza limiti di tempo o di velocità.

Il primo sequencer degno di nota fu l’inglese Mellotron, che lavorava con un nastro magnetico che permetteva la riproduzione di diversi suoni in base alla sua posizione in relazione alla testina. Tra i suoi primi utilizzatori ci furono i Beatles, che lo impiegarono nella iconica “Strawberry Fields Forever”, i cui suoni iniziali ne costituiscono appunto un pionieristico esempio.  Grazie a questa invenzione, qualche anno dopo, salire sul palco esibendo i propri virtuosismi tecnici non sarebbe più stato un requisito fondamentale. Questo strumento ha permesso in seguito ai musicisti di concentrarsi principalmente sul piano creativo della composizione, un fatto che in qualche modo è risultato anche controverso per la critica, ma questa è un’altra storia.

1955 - Primi sintetizzatori: l'RCA Mark II
FOTO SOPRA: l’RCA Mark II Synthesizer (1955)

I sintetizzatori, a loro volta, grazie all’incredibile range di suoni integrati in una sola macchina, furono un elemento più che indispensabile agli stili musicali della seconda metà del ‘900. Il nome dello strumento proviene da quello di uno dei suoi primi esemplari programmabili, l’RCA Mark II Synthesizer. Esso permetteva, in maniera del tutto elettronica, di generare suoni e di creare delle sequenze con essi, senza bisogno di tapes.

Al tempo, comunque, tali strumenti erano ancora molto difficili da trasportare, a causa dei loro delicati meccanismi, delle dimensioni (l’RCA era grande come una una stanza!) e del peso, oltre che fuori dalla portata delle tasche della gente comune. Ciò li rendeva utilizzabili prevalentemente in studio e solamente da una cerchia ristretta di persone. L’obiettivo dei compositori e dei musicisti era quello di raggiungere uno standard che, a parità di perfezione tecnica, si potesse ottenere con tecnologie economiche e soprattutto portatili.

L’alba dei generi di musica elettronica popolare: le macchine Buchla e Moog

Don Buchla e i primi pioneristici sintetizzatori
FOTO SOPRA: Don Buchla e i suoi pionieristici sintetizzatori

La produzione in serie di strumenti elettronici programmabili affonda le sue radici negli Stati Uniti intorno al 1964, e si sviluppa in maniera sincrona nella West Coast, tramite la ricerca di Don Buchla, e nella East Coast, con il più popolare Moog. Tra le principali differenze di questi strumenti ce n’è una essenzialmente discriminante, che ha permesso al Moog di entrare nell’immaginario collettivo della musica elettronica: la tastiera. Simile a quella di un pianoforte, con una suddivisione in ottave. Ciò rendeva il Moog in qualche modo comparabile agli strumenti analogici e permetteva anche ai musicisti che non avevano mai avuto un approccio alla musica elettronica di avvicinarvisi.

In quel periodo vengono scritte le prime composizioni con il sintetizzatore apprezzabili da un pubblico più ampio, tra le più famose troviamo rispettivamente “Switched on Bach” dell’allora Walter Carlos (oggi Wendy), che si servì di un Moog, e “Silver Apples on Moon” di Morton Subotnick, scritta per il Buchla.

Tuttavia le dimensioni di questi strumenti non consentivano ancora di essere suonati dal vivo. Il primo a portare sul palco un sintetizzatore Moog fu Keith Emerson, membro della leggendaria band Emerson, Lake and Palmer, spronando in questo modo la casa produttrice a lavorare sulla portabilità dei suoi strumenti (cfr.: ELP, Pictures at an Exhibition, Live 1970). La vera innovazione arrivò quando la casa Moog lanciò il Minimoog, nei primi anni ’70. Un sintetizzatore per l’epoca sensazionale, che aveva le stesse funzionalità di quello precedente oltre ad altre nuove, tra cui la rotella del pitch. Ma ciò che soprattutto contraddistingueva questo apparecchio erano le sue dimensioni compatte. Finalmente gli strumenti elettronici vengono integrati nel dominio della musica popolare, e il suono del Minimoog divenne il marchio di fabbrica del genere Psychedelic Rock.

Le evoluzioni non si fermano e ai sintetizzatori vengono pian piano aggiunti dei componenti elettronici, che continuano ad assottigliare sempre di più la linea che divide i compositori dell’elite dai musicisti popolari.

Gli anni ’80: Punk, Post-Punk e New Wave

Nei primi anni ‘80 finalmente i sintetizzatori divennero accessibili a tutti, grazie ai dispositivi dei produttori asiatici (in particolar modo giapponesi), come Yamaha, Korg, Roland o più tardi, Casio. Questi strumenti erano affidabili e semplici da usare, disponevano di una tastiera sul modello Moog e non richiedevano di saper generare dei suoni tramite la modulazione delle onde audio. Infatti questi venivano già programmati all’interno del dispositivo dalla casa produttrice, rendendoli quindi disponibili e addirittura facilmente modificabili. Ma principalmente, erano economici e accessibili dalle persone delle classi meno abbienti.

I nuovi strumenti erano più semplici da suonare di una chitarra, non necessitavano di avere una band e potevano riprodurre il suono di strumenti acustici. Una bella fortuna, in quanto in quel periodo era in corso una nuova rivoluzione culturale, direttamente ereditata dal Punk ma con un’accezione più decadente, introspettiva e romantica: quella della New Wave e del cosiddetto Post-Punk. Se il Punk aveva dichiarato guerra alle elite e al modo accademico di fare musica o di vivere in questa società, il Post-Punk portava con sé questo stesso spirito DIY e il suono delle chitarre distorte, ma lo ammorbidiva con quello dei sintetizzatori e di groove minimalisti di stampo Space Rock.

Si affacciava sulla scena una nuova decade musicale, la New Wave, emblematicamente rappresentata dalle delicate note di “Photographic” dei Depeche Mode e “Love Will Tears Us Apart” dei Joy Division.

– continua –

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