Io Danzerò. Stéphanie Di Giusto racconta la vita di Loïe Fuller Prima di lei nessuno aveva mai danzato in quel modo. Pioniera della danza contemporanea, Loïe Fuller ha saputo far sì che arte, scienza e tecnologia si alleassero sul palcoscenico in una performance mai vista in precedenza

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Io danzerò
Io danzerò

BOLOGNA – Presentato alla rassegna di cinema indipendente Biografilm Festival di Bologna, il film Io danzerò (La Danseuse, questo il titolo in lingua originale) racconta una storia che a suo  tempo fece davvero storia, per così dire, anche se in seguito pare che la Storia, quella con la S maiuscola, l’abbia un po’ dimenticata. Quello di Marie-Louise Fuller è infatti un nome ora poco noto ai più ma che a suo tempo era sinonimo di celebrità e avanguardia, capace di elettrizzare tanto il pubblico quanto la critica e soprattutto gli artisti più in voga della Belle Epoque.

Marie-Louise Fuller, nota come la Loïe, seppe davvero entusiasmare e fare proseliti, anche se, va detto, nessuno dei suoi imitatori fu mai in grado di raggiungere sul palcoscenico i suoi impareggiabili risultati.

Io danzerò tratteggia il personaggio di questa straordinaria e atipica artista (bravissima Stéphanie Sokolinski, alias Soko nell’interpretarla) ripercorrendone la vita a rapide carrellate e focalizzandosi più sulla sua performance che non su una biografia lineare. La pellicola, anch’essa un prodotto d’arte, si concede varie licenze e introduce alcuni personaggi che di fatto non sono mai esistiti, quali il conte Louis d’Orsay, nel film l’unico uomo che a sua maniera l’abbia amata.
Il risultato è un’opera evocativa e ben congegnata, di grande fascino e originalità, dall’esemplare ambientazione e dai magnifici costumi, per i quali la pellicola ha ottenuto il César.

Segnata da una gioventù selvaggia e irrequieta spesa in Illinois con il padre (nella versione filmica ma non nella realtà) di origine francese, la Fuller era stata esposta, sin da bambina, a una multiforme esperienza teatrale. Durante la sua vita d’artista il variegato bagaglio di cui era equipaggiata, e che le sarebbe stato quantomai utile, farà di lei una donna di teatro a tutto tondo. Appassionata di buone letture, Marie-Louise voleva una vita diversa e non si limitava a sognarla, tutt’altro: studiava, leggeva, ripassava e si documentava proprio per aiutare il suo destino a realizzarsi.

Cruciale il punto in cui, dopo l’uccisione del padre, la ragazza si ritrova sola e si reca dalla madre, donna austera e poco affettiva che aveva trovato conforto nella fede all’interno di una comunità religiosa di New York. Marie-Louise, attratta com’è dalle luci della ribalta e dal palcoscenico, entra subito in conflitto con la sua figura.

Iniziati con poca fortuna una serie di lavoretti nell’ambiente dello spettacolo, non di rado umilianti, i problemi con la madre bigotta peggiorano sempre più finché, a seguito di un’occasionale inconveniente, in un impeto di rabbia e delusione, Marie-Louise trova la forza di cambiare vita e lasciare l’America per attraversare l’Oceano.

A marcare il punto di svolta, vera e propria metamorfosi, sta la splendida scena in cui la madre trova l’abito della figlia steso sul letto, involucro vuoto, crisalide, muta performance, una sorta di forma sublimata del commiato degno di un artista concettuale. Da qui lo stacco è netto. La scena successiva vede la Fuller già sul transatlantico a bordo del quale raggiungerà l’Europa e Parigi, sua destinazione finale. Se l’America di fine secolo non era stata pronta a cogliere le innovazioni che lei avrebbe potuto portare, sarà la Ville Lumiére a raccogliere il vento del cambiamento. Qui la Fuller, divenuta Loïe e non più Marie-Louise, darà vita a quelle novità che – insieme con Isadora Duncan e Ruth St. Denis – faranno di lei una delle pioniere indiscusse della danza moderna.

A Parigi i teatri più prestigiosi le spalancheranno le porte, nonostante sia quasi una trentenne in un mondo in cui “le ballerine sono famose a vent’anni”. Attrezzata di lunghe bacchette di bambù cucite nelle maniche, immersa in fiumi di seta, presa nel vortice di un rutilante  lavoro, con la schiena perennemente dolorante (i costumi di scena lunghi anche centinaia di metri non erano certo leggeri) saprà creare una danza dagli effetti mai visti in precedenza: un sontuoso amalgama di luci e colori, illusioni ottiche e suoni  accompagnati a movimenti da lei eseguiti con prismatica precisione. E’ così che pur non essendo una vera danzatrice saprà guadagnarsi il plauso e l’ammirazione del pubblico, perfezionando costantemente questa sua arte al punto da divenire musa e icona dei nomi più noti dell’avanguardia artistica di quel tempo.

Divenuta una delle figure iconiche dell’Art Nouveau non ci sarà artista che la ignori. Pochi oltre lei sapranno  esercitare una suggestione così forte sull’immaginario e le arti del ‘900. Toulouse Lautrec la immortalerà nei suoi dipinti, a lei dedicherà una sessantina di impressioni ognuna riprodotta con un diverso colore nelle sue litografie; Rodin ne scolpirà l’immagine, Mallarmé scriverà di lei in almeno due opere fra le quali  Crayonné au Théatre Autre Etudes de dance: les fonds dans le ballet. Comprensibilmente apprezzata dal teatro simbolista, condivideva con esso il senso dello spazio sospeso e un gusto per ciò che è onirico e suggestivo, o quanto di simbolico e non determinato la sua arte ben sapeva ricreare. Avanguardista, pioniera della danza contemporanea, i fratelli Lumiére la riprenderanno nella celebre Danza Serpentina, nel 1896. Lei stessa nel 1920 si dirigerà nel film Le Lys de la vie. La Fuller aveva non solo creato una danza nuova ma anche un nuovo modello femminile ben diverso dagli stereotipi del tempo: né santa né cortigiana, niente che la assimilasse alle ballerine dell’epoca. Scalza, senza busto né corsetto, era libera di muoversi e fluttuare a suo piacimento, sul palco.

Loïe Fuller fu non solo musa ma anche impresaria e prima performeuse della storia: piuttosto parca nella vita privata, spendeva quanto guadagnava finanziando da sè i suoi costosissimi spettacoli. Per realizzare la Fire Dance, ad esempio, era richiesta la presenza in scena di ben quattordici elettricisti. Inventrice di gesti unici, rapidi, creatrice di una danza che è insieme teatro e musica, seppe ridisegnare gli spazi espressivi della scena colorandoli con metri di seta leggera su cui risaltavano e rifiorivano fantasmagorie di luci e colori. Quelle movenze così veloci, indefinite, che potevano essere gigli o i battiti d’ali di una gigantesca farfalla, sapevano dare spazio all’immaginazione come mai era stato prima. La farfalla, si può dire, diviene figura emblematica dell’esistenza stessa della Loïe, evocando le metamorfosi a cui entrambe vanno incontro. Come una farfalla, La Fuller era attratta sia dalle luci (della ribalta) che dagli effetti luminosi in genere, che in seguito si riveleranno tanto rovinosi per la sua vista e per la sua salute, ed è altrettanto facilmente assimilabile ad una falena che si sia spinta troppo vicina a una fonte luminosa. Analogamente sarà per la Fuller fatale l’incontro con  Isadora Duncan, fautrice di un fuoco che la attirerà e la brucerà quanto la fiamma che divora le ali delle falene.

Star del music-hall, la Fuller ha creato uno spettacolo che fu recepito in America come semplice entertainment ma che in Europa venne considerato vera danza d’arte, al punto che a Parigi l’artista non si esibirà solo alle Folies-Bergère ma anche all’Opéra.

Io Danzerò è una sorta di biografia che indulge con equilibrio verso il romanzo. Non certo un documentario, La danseuse di Stéphanie Di Giusto è comunque una pellicola piuttosto puntuale nel riordinare gli eventi. Sembra però a tratti che la regista non sia tanto interessata a riproporre l’arte della protagonista, quanto a rappresentare la corporeità del personaggio attraverso il duro lavoro quotidiano, la ricerca e la fatica, le glorie e le sconfitte che l’arte impone e che condurranno la Fuller a inventare “la danza serpentina”, una reinterpretazione magniloquente ed estremizzata della pregressa skirt dancing.

Le sue doti imprenditoriali, più che artistiche, le consentiranno di creare spettacoli sorprendenti, in grado di unire arte e scienza, botanica e entomologia, matematica e chimica: tecnica e natura trasformate dall’arte in un unicum per deliziare lo spettatore. Sono anni di positivismo e scoperte scientifiche e la Fuller con l’intuito dell’artista coglie a piene mani ciò che il progresso le concede.

E pensare che tutto era derivato, in origine, dal caso: il suo primo ruolo in un teatro di New York dove una gonna troppo lunga (la Fuller non era molto alta) la portò a inventare una strategia per non inciampare. Lo spettacolo fu un flop ma la sua performance venne salutata con grande calore. Fu quell’episodio a farle capire che in teatro avrebbe potuto “recitare” anche senza le parole e avvantaggiarsi di quello stesso fisico che, non molto asciutto e un po’ troppo country, non era certo adatto a una ballerina. Nascosto sotto pesanti drappeggi, era infatti quello stesso fisico non da danzatrice che, non adatto ad essere esibito, le dava poi in effetti la forza di sostenerli.

Il cinema, come la danza della Loïe, è in grado di suggestionare lo spettatore e questo fa si che “la finzione” divenga il trait d’union comune a entrambi.  A dispetto del titolo, la Fuller, che come visto non era propriamente una ‘ballerina’ (non essendolo né nel senso delle architetture del movimento né delle tecniche o degli stili precisi) era invece una “danzatrice” nel  senso dell’arte del corpo e dell’uso dello spazio.

Maniacale nell’accuratezza con cui preparava i suoi spettacoli, era diventata esperta di chimica, fisica, rifrangenze, giochi di luce, illuminotecnica e tutte le pratiche correlate. La sua cura del dettaglio, la fatica nel rincorrere ed ottenere certi grandi risultati, è la tematica che accompagna tutto il film, un percorso che si snoda in maniera circolare, nel quale grazie alla tecnica del flash-back la fine è l’inizio della storia e nel mezzo si snocciola tutta l’appassionante vicenda.

“Lei è la farfalla, il fuoco, la luce, il cielo, le stelle. Fragile, sotto un materiale fluttuante, ornata d’oro bianco, calcedonio e berillo, è apparsa Salomè. Dopo, l’umanità è passata via febbrilmente. Per lenire le nostre anime logore e rasserenare i nostri incubi puerili, una fragile figura danza in una veste celestiale”. (L’amica Gab parlando di Loïe Fuller)

PER INFO E APPROFONDIMENTI
Per chi volesse approfondire l’argomento riguardo alla vita di Loië Fuller ecco alcuni titoli di libri e articoli:

Electric Salomé, PDF Press.Princeton. Edu
Sally R. Sommers, Loie Fuller, la fata della luce, in Eugenia Casini Ropa (a cura di), Alle origini della danza moderna, Il Mulino, Bologna 1990, pag. 237 e segg
Eugenia Casini Ropa (a cura di), Alle origini della danza moderna, Bologna, Il Mulino, 1990) 
Loïe Fuller, Fifteen Years of a Dancer’s Life, 1913 (tr. Loïe Fuller, Una vita da danzatrice, Dino Audino Editore, 2013)
I. Duncan, Loïe Fuller, Ruth St. Denis, Donna è ballo. Nascita e affermazione della danza moderna, Ghibli 2015
Gian Pietro Lucini, Una danzatrice eccezionale, in Le Antitesi e le Perversità, Parma, Guanda, 1970.

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